Un itinerario della memoria dove si affollano esperienze di una vita artistica intensa e composita, elementi di una ricerca accurata e rigorosa, acuta ed operosa, spazi per la contemporaneità e per le riflessioni sulla storia dell’immagine. Così si svolge il percorso iconografico ed intellettuale di Antonietta Innocenti, pittrice umbra che misura le sue capacità espressive nell’ambito di una provincia doviziosa di suggestioni estetiche di influenze morali. Certamente è importante nell’opera l’ampio territorio del pensiero creativo dove l’artista si muove confrontandosi con le molte forme della visualità, dalla pittura tout court supportata da una forte e completa capacità manuale alla tavola umoristica nata da una raffinata ironia, alla serialità grafica che si avvale dell’eccellente uso del disegno.

L’interesse fondamentale dell’attività artistica di Antonietta Innocenti è, però, rappresentato dalla coerenza del suo straordinario viaggio all’interno della composizione partendo dalla tradizione figurativa degli esordi, dove la figura ha sempre avuto un ruolo essenziale, per raggiungere una situazione astratta totalmente libera da suggestioni naturalistiche al fine di dare corpo all’assestamento volumetrico della materia. Una condizione sperimentale che la Innocenti aveva raggiunto senza esitazione attraversando periodi di diversa “musicalità” quasi che il ritmo necessitasse di emozioni artistiche in evoluzione.

Erano i tempi in cui la pittrice aveva accomunato alla stesura pittorica elementi verbali che assumevano vario significato ossia sapevano dare coscienza alle forme diventando forma essi stessi, in un gioco senza fine progettato per rendere l’arte maggiormente utilizzabile dalla società circostante in uno stato di consapevolezza comune per sollecitare la capacità di osservazione e di interpretazione. La posizione assunta rispondeva all’esigenza di fondere comportamento ed opera affermandosi come presenza attiva nella realtà contemporanea.

Lo sviluppo delle associazioni mentali nel processo creativo della Innocenti ha condotto molto più avanti la sua necessità di un costante rapporto con l’esterno per cui l’astrazione ha subito ulteriori assestamenti cedendo in parte al fascino ricorrente della figura che si riappropria del primo piano come totem analitico, fotografico del simulacro, ma non si concede mai per intero. Il suo riapparire è come uno sguardo non completamente innocente sul mondo, una curiosità consapevole sui dati offerti dalla memoria.

Le citazioni museali, le tautologie accademiche non attraggono Antonietta Innocenti che elabora il concetto della forma secondo una cultura insiemistica. Una cultura che non porta soltanto all’universale astratto, come conoscenza intellettuale, ma al particolare fenomenologico e concreto: la figura, appunto, che emerge prepotente ma non opprimente dagli effetti di luce-ombra dei suoi dipinti e dalle accensioni cromatiche in una complessa composizione a grandi volumetrie. Non manca quindi un’ampiezza barocca nella stesura iconica del soggetto per il bisogno di allestire un proprio ambiente teatrale dalle similitudini scenografiche ed un proprio inventario psicanalitico virtuale che possano far coincidere il mondo di superficie con un mondo sotterraneo segreto ed incantato.

L’opera d’arte porta sempre dentro di sé le tracce dell’atto creativo per cui entrate nell’ “opera” significa affrontare i problemi dell’autore che dal vasto repertorio della tradizione pittorica ha recuperato una forma espressiva a lui congeniale nella consapevolezza che l’epoca in cui viviamo è ben diversa da quella del passato. Ciò permette la realizzazione di un impianto compositivo sontuoso e privilegiato dove le icone del presente si visualizzano in libertà concettuale ed in profondità esistenziale. Le intenzioni della pittrice umbra sono quindi una sorta di mossa per stimolare l’acquisizione delle conoscenze ed il piacere estremo del gusto. (1988)